sabato 31 maggio 2008

La morte della compassione

Ringrazio tutti coloro che ci hanno seguito in questi giorni, con così tante animate discussioni... Ma andiamo avanti, nel foggiano, nuovi orrori, questa volta terapeutici, si presentano. L'articolo è preso da micromega, c'è anche una petizione per chi volesse partecipare (http://minimokarma.blogsome.com/2008/05/12/una-firma-per-davide/).
LauraP.



Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) ci sono malformazioni incompatibili con la vita per le quali la rianimazione non deve essere intrapresa o le cure intensive devono essere interrotte perché configurerebbero solo un atto di accanimento terapeutico, tra queste la Sindrome di Potter o agenesia renale bilaterale. In questa condizione i reni del feto non si sono sviluppati, la vita fetale è permessa dalla placenta ma la vita extrauterina è impossibile. Anche altri organi subiscono danni per la mancanza dei reni, tra questi polmoni e scheletro.
I bambini con sindrome di Potter non hanno reni, hanno polmoni iposviluppati e mal funzionanti, hanno dimorfismi del viso e dello scheletro, altri settori dell’apparato urinario possono mancare. Se rianimati e tenuti in vita hanno necessità di essere ventilati con un respiratore e di eseguire dialisi. Queste terapie, comunque aggressive, invasive, dolorose, possono forse funzionare per giorni o settimane, dopo di che l’unica ipotesi può essere il trapianto renale, trapianto che, ancorché possibile, è gravato nel primo anno di vita da enormi insuccessi ed espone il neonato ai danni della terapia immunosoppressiva.
A mia conoscenza, non vi sono casi di sindromi di Potter rianimate, dializzate, trapiantate e quindi sopravvissute. Per questo motivo, l’OMS suggerisce la non rianimazione alla nascita. Questo non significa che i neonati non debbano esser curati, ma che per loro sono indicate le cure palliative, scelta terapeutica con la stessa dignità delle cure intensive. Parte integrante del trattamento diventa anche la cura della famiglia prestando ascolto e dando assoluta priorità ai desideri dei genitori. Tali concetti fanno parte del patrimonio culturale dei neonatologi di tutto il mondo e sono espressi nelle linee guida per la rianimazione neonatale (ILCOR) che sono la base del nostro comportamento assistenziale, sono ribadite da insigni studiosi (Leuthner S 2004, Avery 2004, per citarne due). Il parere dei genitori, se palesemente in contrasto con i diritti del figlio, può esser saltato solo di fronte a terapie salva-vita, non certo a tentativi sperimentali.
Quando muore la compassione può accadere che il tran-tran delle macchine di una terapia intensiva, il luccichio di aghi e rubinetti, l’invasione di tubi e cateteri, rubi una persona alla sua famiglia, tolga un neonato dalle braccia di sua madre, sottoponga a cure inutili, palesemente inutili, universalmente considerate inutili, una creatura che sta morendo. Quando i medici diventano SOLO laureati in medicina, può accadere che suggeriscano al giudice di strappare quel bambino dalle braccia, dalla tutela, dall’amore di chi lo ha messo al mondo.
Quando i giudici non ascoltano, o ascoltano chi non conosce veramente ed onestamente la medicina, può accadere che regalino quel neonato ad una “struttura” togliendolo, per decreto, ad una madre.
In questo mondo delirante, che ha perso di vista l’uomo e la sua umanità, nell’ipotesi migliore per mancanza di amore e compassione, nell’ipotesi peggiore perché sacrifica un bambino e la sua famiglia a logiche di tecnologia, pubblicità, sperimentazione, fanatismo, è stato fatto un male infinito ad un bambino ed ai suoi genitori: il bambino sottoposto, per decreto, a cure inutili e dolorose; i genitori perché strappati da quel figlio, accusati della peggiore accusa: agire contro l’interesse del proprio bambino. I dubbi di quei genitori non solo sono legittimi, ma segno di grande profondità: genitori veri che hanno compreso l’enorme problema del figlio e che vogliono fare appieno il loro dovere: dare un consenso solo dopo essersi profondamente convinti sulla migliore assistenza per il loro bambino.
La rianimazione per forza, e soprattutto nelle malformazioni incompatibili con la vita, è un atto di inaudita violenza che non sarebbe tollerato in nessun paese civile del mondo e non trova appoggio in alcuna comunità scientifica che io conosca. Le cure palliative sono scelte terapeutiche a tutti gli effetti, ben definite e con precise indicazioni. Mi auguro fortemente che quel Tribunale renda quel figlio a quei genitori, che la comunità si scusi, che quel padre e quella madre, così infinitamente scossi dalla nascita di un bimbo con tali problemi e destinato ad una inevitabile fine precoce, ancor più traumatizzati dalla pressante idiozia di cure intensive senza senso, irresponsabilmente distrutti da un giudizio immeritato di incapacità genitoriale, possano perdonare un mondo di laureati in medicina che ha dimenticato la compassione.

*
neonatologa

(30 maggio 2008)

4 commenti:

Anonimo ha detto...

UN ESEMPIO E UN MONITO.
BRAVI.

Peppe 81 ha detto...

vorrei dire di più.
in quaesto caso anch'io concordo sul fatto che la scelta deve essere dei genitori e non di distratti e svogliati giudici che ascoltano interessati medici. Interessati ad interessi loro. E un pò come per l'eutanasia. A ciascheduno la possibilità di scegliere che fare della propria vita.
Se un malato terminale in Italia vorrebbe porre fine alla propria vita, non potrebbe farlo. La Chiesa insorgerebbe, sorretta dalla categoria medica che preferisce usare quell'individuo per i propri esperimenti. Così spesso gli viene prolungata l'agonia, non la speranza. Ma a questo la Chiesa non si oppone. "Se Cristo chiama, il Papa dice Cristo aspetta". E così la Chiesa da noi decide, secondo un SUO principio di CARITA' CRISTIANA, che uno deve soffrire per forza. Ma per l'aborto, non è così. La Chiesa dice che si deve per forza vivere. Se una ragazza sa che il figlio nascituro potrà avere una infelice, non può scegliere. Non ha scelta. In realtà è proprio lì la chiave: la Chiesa non lascia scelta.

Laura Pupillo ha detto...

31 Maggio 2008
Bambino sindrome di Potter: il tribunale dei minorenni restituisce la patria potestà ai genitori

Il tribunale dei minorenni di Bari ha ridato la patria potestà ai genitori di Davide il neonato affetto dalla sindrome di Potter che era stato affidato il 10 maggio al primario del reparto di Neonatologia degli ospedali Riuniti di Foggia perché fosse sottoposto alla dialisi.

Il provvedimento dei giudici baresi è stato depositato questa mattina ed è stato comunicato ai genitori e al legale della famiglia l’avvocato Michele Vaira.

Il tribunale dei minorenni di Bari nel provvedimento prescrive anche ai genitori di continuare a prestate la massima collaborazione nei confronti dei sanitari e che dovranno seguire le indicazioni dei medici. In caso di inottemperanza il tribunale potrà adottare nuovamente nei confronti dei genitori provvedimenti limitativi della potestà genitoriale.

I giudici baresi hanno incaricato i sanitari dell’ospedale pediatrico Giovanni XXIII di Bari, dove il bambino è ricoverato di aggiornarli costantemente sulle condizioni di salute del neonato, segnalando eventuali situazioni particolari.

Inoltre il tribunale dei minorenni di Bari ha impegnato anche l’amministrazione comunale di Foggia, tramite il servizio sociale, perché volga accurata attività di sostegno e monitoraggio in favore di tutta la famiglia del piccolo Davide, sollecitando interventi ove possibile anche di tipo economico, atti a rendere di agevole per i genitori l’esercizio della loro funzione genitoriale.

Anonimo ha detto...

Stiamo preparando una interrogazione parlamentare sulla faccenda. Anche sul provvedimento di restituzione della potestà genitoriale, che in realtà, intimando ai genitori di seguire tutte le indicazioni "impartite" dai medici pena una nuova sospensione, aggiunge al danno la beffa.